“Nel mio nome parleranno lingue nuove”

“Nel mio nome parleranno lingue nuove”.
Questo – afferma il Signore Gesù nel Vangelo ascoltato nella Messa dell’Ascensione del Signore – è uno dei segni che accompagneranno quelli che credono (cfr. Mc 16,15-20) e annunciano il Vangelo con la loro vita.

Parlare lingue nuove non vuol dire allora inventare un nuovo messaggio o stravolgere quello che abbiamo ricevuto. Tornano in mente le parole del grande Cardinale John Henry Newman il quale nel suo “Corso sulla dottrina della giustificazione” scrisse: «Durante gli ultimi tre secoli è sorto un sistema di dottrina, nel quale la fede o l’inclinazione spirituale è contemplata come il fine della religione, al posto di Cristo. Non intendo dire che Cristo non sia segnalato come l’Autore di tutto il bene, ma che l’accento è posto sul credere piuttosto che sull’Oggetto del credere, sul conforto e sulla capacità di persuasione della dottrina piuttosto che sulla dottrina stessa. In questo modo, si fa consistere la religione nella contemplazione di noi stessi invece di Cristo; non semplicemente nel guardare a Cristo, ma nell’assicurarsi che guardiamo a Cristo; non nella sua divinità e nell’Espiazione, ma nella nostra conversione e nella nostra fede in quelle verità».

Il contenitore è importante,
ma senza contenuto a che serve?

Temo onestamente che qualcosa di analogo possa accadere per la comunicazione del Vangelo; mentre si cerca giustamente – e finalmente – di elaborare una nuova mentalità e di affinare le tecniche in vista di una maggiore efficacia, allo stesso tempo si corre il rischio di tralasciare e dedicare troppo poca attenzione al messaggio. Come ho ripetuto qualche giorno fa durante una lezione su “Liturgia come evento di comunicazione” presso l’Istituto Ecclesia Mater a Roma (e in un mio libro in uscita tra poche settimane), la nostra comunicazione del Vangelo è direttamente proporzionale alla nostra contemplazione, alla nostra preghiera: abbiamo ricevuto dalla e nella Chiesa davvero tanta bellezza che non conosciamo ancora bene, non riconosciamo come tale, non amiamo e non valorizziamo a sufficienza.

la nostra comunicazione del Vangelo
è direttamente proporzionale
alla nostra contemplazione

don Oronzo Marraffa

Parlare lingue nuove per annunciare il Vangelo, si diceva. Questo è dono di Dio, è frutto della docilità allo Spirito, è scaltrezza nel cogliere in un invito apparentemente casuale la chiamata a dare alla tua vita l’altra trama che aspettavi. … ripetiamolo: senza preghiera non potremo lasciarsi in-segnare dallo Spirito le lingue nuove per annunciare Dio.

In questi ultimi mesi in comunità abbiamo messo al centro della nostra attenzione la cura consapevole (perché è una scelta) della vita spirituale personale: gli appuntamenti con la lectio divina, la celebrazione della Via Crucis, gli incontri con le famiglie della parrocchia, la preghiera dei vespri, le riunioni sinodali, le celebrazioni e adorazioni eucaristiche … e quindi? E quindi … mi sembra che alla fine manchi sempre la base, la leva che sollevi tutto, il bandolo che sbrogli la matassa. E siccome so di essere solo un mendicante che prova a dire ad altri mendicanti dove ha trovato ciò che mi sazia il cuore, eccomi qui.

Se sono qui è perché ho creduto, mi sono fidato, mi sono affidato, credo all’amore che Dio ha per tutti noi (cfr. 1 Gv 4, 16). In questo tempo di Pasqua che volge ormai al termine vado accogliendo in maniera nuova l’amore fedele, infinito, eterno, totale, incondizionato del Signore per ciascuno di noi.
Vuoi la prova anche tu? Alza lo sguardo alla Croce e fermati. Sì, fermati a pensare a quanto siamo distratti e “abituati” a Cristo in Croce. Rocco De Stefano mette sulle labbra di uno dei protagonisti del suo romanzo parole illuminanti su questo punto.

Rocco De Stefano? E chi è?
Rocco è un autore che, secondo me, ha fatto centro con il suo romanzo “L’influencer di Dio” (Tauedizioni) parlando di temi giganti quali la fede, il peccato, l’amore, l’amicizia, la famiglia, la preghiera, la missione, la carità, il coraggio di mettersi in cammino e altro attraverso uno stile particolarmente sim-patico che ti fa passare dal sorriso alla riflessione più pacata, dalla fragorosa risata alle lacrime per la commozione e che – alla fine – ti chiede di schierarti.
Rocco è stato qui a Castellaneta il 16 maggio scorso e ha condiviso con noi la bellezza del suo cammino credente; è stato importante anche mettersi in ascolto del suo stile comunicativo che affonda le radici nell’aver scoperto l’amore di Dio per lui e, quindi, l’amore vero per le persone e nel tradurre tutto questo in un sorriso ed una storia (una lingua nuova!) che non è più solo sua, ma anche mia, tua, nostra con Dio.

Con i bambini della parrocchia agli occhi del corpo aggiungiamo quelli del cuore: cosa vedono quando guardano Gesù in Croce? Con gli occhi del corpo un uomo morto, uno “sfigato” e un perdente, con gli occhi del cuore uno che dimostra con i fatti cosa vuol dire amare, ovvero che “non c’è amore più grande di chi dà la vita per i propri amici” (cfr. Gv 15,13).

E questi occhi, questo sguardo vanno allenati ogni giorno. Come?

1. Domandati: come penso la mia vita? Quando ritengo realizzata la mia vita? Dalla risposta si capirà se e quanto il Vangelo ha messo radici nel cuore.
2. Domandati ancora: chi sono? Chi voglio essere? Cerca la tua risposta personale. Se nell’orto della tua vita oggi pianti cicorie, domani per favore non pretendere frutti della passione. Inizia a prendere sul serio il tuo futuro.
3. Scegli di prenderti cura della tua vita spirituale e incomincia a stupirti, esercitati nella gratitudine e non dare nulla per scontato, inizia a pregare, a cercare e trovare nel Vangelo la giusta chiave di lettura della tua vita.
4. Abbi chiari i passi da compiere – uno alla volta – e calibra i tempi necessari (ricorda: una pianta non cresce prima se la tiri) per fare della tua vita un dono vero.
5. Per favore, non camminare in solitaria: cerca e scegli la tua guida spirituale; come dice don Fabio Rosini, non cercare la persona simpatica, ma la persona in cui riconosci che Dio ti si fa presente.

E siccome tra il dire e il fare c’è di mezzo il … cominciare, non mi resta che augurarti buon cammino lasciandoti guidare dallo Spirito di Dio. Buona Pentecoste!

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