Santa Maria, donna elegante, dal momento che vestivi così bene, regalaci, ti preghiamo, un po’ dei tuoi abiti. Aprici il guardaroba. Abituaci ai tuoi gusti. Lo sai bene, ci riferiamo a quei capi di abbigliamento interiore che adornarono la tua esistenza terrena: la gratitudine, la semplicità, la misura delle parole, la trasparenza, la tenerezza, lo stupore. Ti assicuriamo: sono abiti che non sono ancora passati di moda. Anche se sono troppo grandi per le nostre misure, faremo di tutto per adattarli alla nostra taglia.
Santa Maria, donna elegante, liberaci da quello spirito rozzo che ci portiamo dentro, nonostante i vestiti raffinati che ci portiamo addosso, e che esplode tante volte in termini di violenza verbale nei confronti del prossimo.
Come siamo lontani dalla tua eleganza spirituale! Indossiamo abiti con la firma di Trussardi, ma i gesti del rapporto umano rimangono sgraziati. Ci spalmiamo la pelle con i profumi di Versace, ma il volto trasuda ambiguità. Ci mettiamo in bocca i più ricercati dentifrici, ma il linguaggio che ne esce è da trivio. Il vocabolario si è fatto greve. L’insulto è divenuto costume. Le buone creanze sono in ribasso. Anzi, se in certi spettacoli televisivi mancano gli ingredienti del turpiloquio, sembra che cali perfino l’indice di ascolto.
Donaci, perciò, un soprassalto di grazia che compensi le nostre intemperanze. E facci capire che, finché non vedremo in colui che ci sta accanto un volto da scoprire, da contemplare e da accarezzare, le più sofisticate raffinatezze rimarranno sempre formali, e i più costosi abbigliamenti non riusciranno a mascherare la nostra anima di straccioni.
Santa Maria, donna elegante, tu che hai colto con tanta attenzione il passaggio di Dio nella tua vita, fa’ che anche noi possiamo captare la sua brezza. Anche lui è molto elegante, e difficilmente irrompe nella nostra storia con la potenza del fuoco o dell’uragano o del terremoto; ma, come sul monte Oreb, si fa sentire nello stormire leggerissimo delle fronde. Occorrono antenne delicate per registrare la sua presenza. C’è bisogno di un orecchio sensibile per percepire il frusciare dei suoi passi quando, al meriggio, come faceva con Adamo, scende ancora nel nostro giardino.
Aiutaci a intuire tutta la delicatezza di Dio in quella espressione biblica con la quale egli, il Signore, esprime quasi il pudore di disturbarci (forse a Giovanni, mentre scriveva l’Apocalisse, quelle parole gliele hai dettate tu): «Ecco, io sto alla porta e busso. Se uno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui, ed egli con me».
Rendici pronti a rispondere, con la tua stessa finezza di stile, al suo discreto bussare. Così che possiamo aprirgli subito la porta, e fargli festa, e condudo a tavola con noi.
Anzi, visto che lui si ferma, perché non rimani a cena anche tu?
don Tonino Bello