Santa Maria, donna del popolo in cammino

Santa Maria, donna del popolo, grazie, perché hai convissuto con la gente, prima e dopo l’annuncio dell’angelo, e non hai preteso da Gabriele una scorta permanente di cherubini, che facesse la guardia d’onore sull’uscio di casa tua. Grazie, perché, pur consapevole di essere la madre di Dio, non ti sei ritirata negli appartamenti della tua aristocrazia spirituale, ma hai voluto assaporare fino in fondo le esperienze, povere e struggenti, di tutte le donne di Nazaret.

Grazie, perché d’estate ti univi al coro delle spigolatrici, nelle campagne bruciate dal sole. E nei meriggi d’inverno, quando il tuono brontolava sui monti di Galilea e tu avevi paura, ti rifugiavi nella casa delle vicine. E il sabato, per lodare Jahvé, partecipavi con le tue amiche alle funzioni comunitarie della sinagoga. E quando la morte visitava il villaggio, accompagnandoti ai parenti, intridevi tossendo il fazzoletto di lacrime. E nei giorni di festa, quando passava il corteo nuziale, attendevi anche tu sulla strada, e ti sollevavi sulla punta dei piedi per veder meglio la sposa.

Santa Maria, donna del popolo, oggi più che mai abbiamo bisogno di te. Viviamo tempi difficili, in cui allo spirito comunitario si sovrappone la sindrome della setta. Agli ideali di più vaste solidarietà si sostituisce l’istinto della fazione. Alle spinte universalizzanti della storia fanno malinconico riscontro i sottomultipli del ghetto e della razza. Il partito prevarica sul bene pubblico; la lega sulla nazione; la chiesuola sulla chiesa.

Dacci, ti preghiamo, una mano d’aiuto perché possiamo rafforzare la nostra declinante coscienza di popolo. Noi credenti, che per definizione ci chiamiamo popolo di Dio, sentiamo di dover offrire una forte testimonianza di comunione, sulla quale il mondo possa cadenzare i suoi passi. Tu, «honorificentia populi nostri», rimanici accanto in questa difficile impresa. Non per nulla ti ripetiamo nel canto: «Mira il tuo popolo, o bella Signora».

Santa Maria, donna del popolo, insegnaci a condividere con la gente le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce che contrassegnano il cammino della nostra civiltà. Donaci il gusto di stare in mezzo, come te nel cenacolo. Liberaci dall’autosufficienza. E snidaci dalle tane dell’isolamento.

Tu che sei invocata nelle favelas dell’ America latina e tra i grattacieli di New York, rendi giustizia ai popoli distrutti dalla miseria, e dona la pace interiore ai popoli annoiati dall’opulenza. Ispira fierezza nei primi e tenerezza nei secondi. Restituiscili alla gioia di vivere. E intoneranno gli uni e gli altri, finalmente insieme, salmi di libertà.

 

don Tonino Bello

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