Devo essere sincero: non ricordo com’è cominciata questa riflessione. So però come ha trovato forma nelle parole di questo post.
Mi sono fermato a guardarmi dentro e ho imparato a guardare fuori in maniera diversa. Troppe rincorse a causa di troppi rinvii, molta “comodità” grazie a molta paura, parecchio accontentarsi per non scontentare nessuno.
E alla fine ci si ritrova come piume portate dal vento qua e là. Qualcuno potrà pensare che così è bello!
Tra una piuma portata dal vento ed un’aquila che dal vento sa ottenere il meglio … preferisco decisamente l’aquila. Non si procrastina, non è comodo, non ci si accontenta. Tutto questo costa in termini di passione, di tempo, di energie, di coraggio. Crea un po’ di inquietudine, lo so. Si tratta di un’inquietudine buona, di una dialettica che sveglia il cuore, la mente e la volontà e li fa convergere su ciò che conta davvero:
«E l’uomo vuole lodarti, una particella del tuo creato, che si porta attorno il suo destino mortale, che si porta attorno la prova del suo peccato e la prova che tu resisti ai superbi. Eppure l’uomo, una particella del tuo creato, vuole lodarti. Sei tu che lo stimoli a dilettarsi delle tue lodi, perché ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te. Che io ti cerchi, Signore, invocandoti e ti invochi credendoti, perché il tuo annunzio ci è giunto. … Dì all’anima mia: «La salvezza tua io sono!». Dillo, che io l’oda. Ecco, le orecchie del mio cuore stanno davanti alla tua bocca, Signore. Aprile, e dì all’anima mia: «La salvezza tua io sono». Rincorrendo questa voce, io ti raggiungerò, e tu non celarmi il tuo volto. Che io muoia, per non morire, per vederlo» (Agostino, Le Confessioni, 1,1.5)