“O Radix”, radice. Che senso ha invocare Cristo come radice? E ancora, perché scegliere una radice per vessillo?
Ogni radice conferisce stabilità alla pianta, ne è la parte nascosta e dimenticata (“tanto non si vede”, pensiamo); eppure è grazie ad essa, che affonda nella terra e sa trarre linfa vitale da quanto la circonda, che tutta la pianta trova la sua possibilità di vita. Se la radice non va, tutta la pianta ne risentirà in qualche modo.
Zaccaria (Lc 1,5-25) era nel tempio. L’esperienza dell’incontro con un messaggero di Dio dovrebbe far fiorire la gioia e, invece, Zaccaria ne esce muto perché non ha creduto, non si è fidato, ha avuto paura di affidarsi. Non è finita qui. Il suo silenzio è assordante, è eloquente! Anche per noi.
Il contesto liturgico non ci esenta dal rischio di aver scelto altre radici per il nostro vivere, dallo spauracchio di sentirci arrivati e “a posto con la coscienza” tanto di dover scegliere noi quale parola ascoltare (e da chi) e con quali tempi Dio debba intervenire nella nostra vita. Come se Dio non potesse raggiungerci quando meno ce lo aspettiamo e attraverso chi è fuori dai nostri schemi.
Se la radice è forte, non c’è tempesta che tenga. Sì, qualche ramo si spezzerà, non reggerà l’onda d’urto, ma dopo la tempesta sarà ancora lì a generare vita anche a partire da quelle ferite divenute feritoie.
Ecco risolto il paradosso di questa invocazione: la radice, seppur nascosta, può divenire un vessillo a cui guardare!