Condivido una mia piccola riflessione pubblicata anche sul periodico diocesano Adesso su un tema delicato. Abbiamo bisogno di parlare, di parlarci, ma – prima di tutto – di ascoltarci davvero.
Tutti probabilmente abbiamo avuto occasione di intessere un dialogo con qualche interlocutore fiero di rivendicare per sé – e stranamente solo per sé – la libertà di parola.
Non so a voi, ma a me ha fatto tanto riflettere la pressoché totale assenza dell’altra faccia della medaglia di tale vivace rivendicazione; mi riferisco al rispetto dovuto all’altro con il quale, sia chiaro, si può anche non essere d’accordo, ma a cui è dovuto rispetto e che non va assolutamente ferito da parole lesive della sua dignità.
Nelle settimane appena trascorse abbiamo assistito ad eventi che hanno avuto notevole risonanza mediatica per via della loro importanza (penso, solo per fare un paio di esempi, alla rielezione del Presidente della Repubblica e ai quesiti referendari). Si tratta di temi, soprattutto i secondi – e lo sottolineo – che esigono adeguata e ponderata riflessione da parte di tutti e che potrebbero essere affrontati con la dovuta preparazione e discussi anche nei gruppi delle nostre aggregazioni.
Cito solo un paio di esempi di libertà di parola non rispettosa dell’altro che mi hanno fatto riflettere molto: alle congratulazioni e agli auguri di buon lavoro al Presidente Mattarella da parte dei rappresentanti della comunità ecclesiale cattolica italiana qualcuno ha risposto “lo stato è laico, fatevi i fatti vostri” (e ci è andata bene!) … Signore e signori, abbiamo un vincitore: il fiero autore avrà dimenticato che siamo italiani anche noi. E vabbè.
Secondo caso – questo riscontrato tra le nostre fila purtroppo -: nel definire il paese “bigotto, medievale e clericale” qualcuno evidentemente non si è accorto che sui quesiti referendari ad esprimersi era stata non la CEI, ma la Corte Costituzionale che, peraltro, ha anche spiegato la sentenza. Quando uno vuole solo dire la sua … sembra che non ci sia spiegazione che tenga. Pazienza!
A noi credenti giunga però l’invito a tenere gli occhi aperti sulla storia e sul cammino del nostro Paese per viverli da protagonisti ed offrire il nostro contributo di visione e valori per un cammino davvero rispettoso della dignità di ciascuno e per la ricerca di un punto di incontro, ma a tutti la pacifica esortazione non solo a dire quello che si pensa, ma anche a pensare a quello che si dice… basta davvero poco perché questa cosiddetta “infodemia” (continuo diluvio informativo) possa essere abitata anche da
parole che aiutano a costruire ponti e non ad alzare muri…
… di questo abbiamo bisogno. Ora più che mai.
La pace non va cercata prima fuori, la pace nasce nel cuore di ciascuno di noi.