“Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina!”
Queste parole dell’Apostolo Pietro che si leggono nel libro degli Atti degli Apostoli (3,6) possono, secondo il mio povero parere, sintetizzare il servizio che la comunità ecclesiale sta offrendo in vari modi in questo tempo particolare di emergenza (e su ciò che stia emergendo mi soffermerò un’altra volta).
Si trova qui la sintesi perché, anche se la preghiera viene vissuta maggiormente (almeno me lo auguro) nella sua dimensione domestica, la testimonianza della carità si manifesta in maniera più visibile in questi giorni di condivisione di quanto abbiamo ricevuto con chi fa più fatica ad andare avanti. Un pacco di viveri, un buono spesa possono apparire ad uno sguardo superficiale come “cose date”. Un pacco di viveri, un buono spesa possono anche rivelarsi come una tappa di un percorso più ampio che è segno di una prossimità fatta di ascolto attento delle storie e delle speranze, come anche della latente disperazione, ma anche come incoraggiamento a non mollare da un lato, a non accumulare e ad essere onesti dall’altro.
“Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do”: e non sono i viveri ciò che abbiamo e diamo prima di tutto. È Gesù Cristo. Qualcuno potrebbe obiettare: ma la gente ha fame! Ma ha fame solo di cibo? O questo periodo non dovrebbe farci avvertire anche la fame di comunione e di condivisione, di attenzione all’altro, di un uso migliore del nostro tempo, di silenzio e di ascolto anche da questa parte dello schermo? Allora, quando ti rendi “presente” con un pacco ti auguri che chi lo riceve dal dono risalga al Donatore, in quel cibo condiviso riconosca i segni di un Amore concreto Paterno e fraterno allo stesso tempo.
Da questo tempo impareremo – volenti o nolenti – a misurarci con una nuova visione della vita ecclesiale; in fondo, quello che questa emergenza ci ha fatto conoscere può considerarsi come la più semplice e realistica rivelazione di noi stessi, degli altri e delle varie situazioni attorno a noi. Almeno in me, ha favorito una lettura decisamente più profonda e ricca di sfumature della vita della comunità.
“Distanza” sembra essere la parola di moda (il famoso metro, la didattica, le celebrazioni, gli incontri …); questa distanza è spaziale-geografica; anche quando ci vediamo attraverso l’oblò dei nostri pc o smartphone, ci ritroviamo attorno ad un centro condiviso perché – sebbene a distanza – è di “Prossimità” che abbiamo bisogno. E “prossimità” dovrebbe essere una parola che circola di più nei nostri discorsi, un parametro, uno stile.
Confesso che inattese mani generosamente aperte ne ho trovate tante … non avevano tempo di comparire sugli schermi per sciorinare ulteriori teorie … erano impegnate altrove a sporcarsi.
“Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina!” (At 3,6).
«Lo sviluppo ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio nel gesto della preghiera, cristiani mossi dalla consapevolezza che l’amore pieno di verità, caritas in veritate, da cui procede l’autentico sviluppo, non è da noi prodotto ma ci viene donato. Perciò anche nei momenti più difficili e complessi, oltre a reagire con consapevolezza, dobbiamo soprattutto riferirci al suo amore. Lo sviluppo implica attenzione alla vita spirituale, seria considerazione delle esperienze di fiducia in Dio, di fraternità spirituale in Cristo, di affidamento alla Provvidenza e alla Misericordia divine, di amore e di perdono, di rinuncia a se stessi, di accoglienza del prossimo, di giustizia e di pace». (Benedetto XVI, Caritas in veritate, 79)
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