«Nella Messa di oggi presentiamoci al Signore con le nostre fragilità!»
Ho detto proprio così all’inizio della celebrazione di questa mattina; in questi giorni in preparazione al Natale ho scelto “intenzioni” particolari (i propri cari defunti, i propri cari vivi, i desideri che abitano il cuore, le proprie fragilità): si può e si deve pregare e celebrare l’Eucaristia legandola alla vita! Altrimenti non avrebbe senso.
Invocare il Cristo come “Chiave e scettro” significa oggi riconoscere che la nostra esistenza è composta anche da situazioni in cui abbiamo bisogno che Qualcuno apra/chiuda al posto nostro perché noi non sappiamo farlo. Talvolta non trovare le chiavi o dimenticare la password ci rende consapevoli dei nostri limiti, della nostra incapacità di far fronte a certi cortocircuiti.
Qualcuno sceglie di forzare le porte e di abbatterle, mentre altri teorizzano su porte e serrature senza muovere un dito.
Ci sono momenti in cui è necessario invocare il Signore perché venga ad aprire il nostro cuore, perché venga a chiudere la maledetta voglia di appiccicare etichette alla vita degli altri (“Elisabetta ERA DETTA sterile”. Da chi? Evidentemente da chi pensava di poter chiudere le porte a Dio), perché faccia smettere di teorizzare sulle vite degli altri e doni il coraggio di guardarsi dentro con lo sguardo misericordioso del Padre, di guardare alle proprie chiusure e fragilità lasciando che il Signore le apra alla luce. La sua luce.
O Chiave di David, e scettro della casa di Israele,
che apri e nessuno chiude, chiudi e nessuno apre:
vieni e libera lo schiavo dal carcere,
che è nelle tenebre, e nell’ombra della morte.
#DIOSEMPRECONNOI